L’illustrazione realizzata da Valeria Crociata ci rimanda inevitabilmente ai meravigliosi banchi delle pescherie che è possibile ammirare nei mercati Napoletani.
Su quei banchi il pesce fresco giace affogato nel ghiaccio tritato, accompagnato dal pungente odore della pescheria e dalle pozzanghere di acqua di mare, che i clienti devono necessariamente attraversare per acquistare l’ambito pesce.
Questa esperienza così folcloristica (per non parlare di quando si va ad acquistare il pesce per Natale!) non è altro che il preambolo di un grande pasto a base di pesce!
A Napoli si è soliti dire “Chi tene ‘e sorde se magna pisce ‘e taglio, chi no se mangia ‘e fravaglie”.
Questo vuol dire che il pesce è un alimento che costa e che chi può spendere compra pesce di qualità, mentre chi non può compra le "fravaglie", in quanto il pesce di piccole dimensioni è meno pregiato.
Amedeo Colella, storico ed umorista napoletano, nel suo libro "Mille paraustielli di cucina napoletana”, ci spiega la differenza tra i vari fritti di mare preparati a Napoli, tra cui abbiamo:
la frittura ‘E mazzamma, un fritto fatto con un pesce di bassa qualità, di solito lo scarto del pescato che non si è riusciti a vendere; ‘o fravaglio, la frittura composta invece da pesci di più alta qualità, per intenderci si tratta dei pesci come alici, sarde, triglie e gamberi; infine, abbiamo ‘a frittura ‘e paranza, in cui si usano invece pesci di più grandi dimensioni e prende il nome dalla paranza, la tipica barca per la pesca a strascico.
Insomma, Napoli come al solito non lascia indietro nessuno e dopo questo vademecum sulle fritture napoletane, siete stati perfettamente istruiti su cosa ordinare nella prossima pescheria.
A noi intanto è venuta una fame allucinante… ci vediamo al mercato della Pignasecca!
Lucio Casillo
Articolo originale:
“Storia della frittura Napoletana” di Imma Galluccio per Storie di Napoli.
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