Nell'illustrazione realizzata da Elisa Vitullo l’acqua che scorre tra i teschi è un richiamo ai tempi remoti, quando nel luogo in cui sorge il cimitero delle fontanelle, prima ancora una cava di tufo di circa trentamila metri quadri, erano presenti dei corsi d’acqua provenenti dai vicini Colli Aminei. I corsi d'acqua a cui si fa riferimento erano noti come "Lava delle Vergini", da cui prende il nome l'omonoimo rione, e non avevano nulla a che fare con la lava del Vesuvio, ma erano piuttosto dei corsi di un misto di acqua e fango che per secoli hanno tormentato i quartieri edificati alla base delle colline napoletane.
La cava diventa cimitero a seguito della peste del 1656 e servì il medesimo scopo per tutte le future disgrazie subite dal popolo napoletano: la carestia del 1764, l'epidemia di colera del 1836 e del 1884.
Per comprendere l'esigenza di avere un nuovo cimitero in città, basta pensare che nell'epidemia di peste bubbonica che ha piegato l'Europa nell aprima metà del '600, a Napoli morì più della metà della popolazione che ai tempi era di circa 450.000 abitanti.
Nasce così il cimitero delle fonatnelle, nell'ampio vallone della Sanità, appena fuori le mura della città.
Il cimitero nasce come una fossa comune e non è stato sempre così ordinato come è possibile visitarlo oggi, l'opera di pulizia e di riordino dei teschi e delle ossa è infatti avvenuta solo nel 1872 ed è uno dei più grandi esempi di "pietas popolare" del popolo napoletano.
Dalla data del riordino l cimitero è così organizzato:
- La navata centrale degli "appestati" è dedicata a coloro i quali trovarono la morte nelle epidemia di peste e di colera;
- La navata di sinistra "d'e prievete" è dedicata a Don Barbati che eseguì l'opera di "pietas" di riordino dei teschi ed è anche il luogo in cui sono stati ricollocati, nel 1837, i resti una volta presenti nelle terre sante e nelle congreghe della città;
- La navata di destra "dei pezzentelli" chiamata così perchè ospita i resti dei defunti del ceto più basso;
Come se quanto raccontato fino ad ora non fosse abbastanza per rendere questo un luogo fondamentale per conoscere la storia della città, ciò che rende questo cimitero ulteriormente un luogo simbolico per la cultura napoletana è il culto "delle capuzzelle" o "delle anime pezzentelle".
In occasione del riordino e della pulizia delle "capuzzelle", i teschi, avvenuta nel 1837, "e mmaste", le donne del popolo napoletano impiegate in questo lavoro, erano chiamate ad adottare i teschi per pulirli e pregare e donare il cosiddetto "refrisco", cioè refrigerio, alle anime dei loro proprietari.
Il "refrisco" era necessario poichè questi morti non avevano mai avuto una degna sepoltura, e spesso nemmeno una ultima benedizione, e quindi l'azione di pietas delle "mmaste" avrebbe permesso alle anime di raggiungere più facilmente il Paradiso, e a loro di ricevere in cambio una grazie per sè o per la loro famiglia.
Il termine "pezzentella" quindi non è da ricondursi solamente all'estrazione sociale di questi morti, ma anche al verbo latino "petere", cioè "chiedere per ottenere".
Chiudiamo questa storia con un ultimo aneddoto: un famoso detto napoletano recita "Senza denari non si cantano messe", cioè senza pagare non si ottiene alcun servizio.
Ma da dove ha origine questo detto? Proprio in concomitanza dei tragici eventi che hanno reso necessaria la costruzione di questo cimitero.
Durante l'epidemia di peste infatti, molti morti dei ceti popolari non ricevettero l'ultima benedizione poichè le famiglie spesso non disponevano dei soldi per poter celebrare l'ultima messa e i sacerdoti difficilmente, anche per questioni igieniche, si offrivano di ottemperare all'ultimo desiderio del defunto. Il detto nasce quindi da questi particolari episiodi, che per fortuna furono successivamente evitati con un editto che obbligava i sacerdoti a benedire il defunto anche se la famiglia non avesse avuto i soldi per la funzione, pena qualche giorno di galera.
“Frisc’ all’anema d’ ‘o Priatorio” si dice a Napoli.
Lucio Casillo
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